La fotografia nel film può avere una triplice funzione: la prima e più ovvia è quella di mostrare gli esistenti e contestualizzare la storia (luce di situazione); la seconda è quella di definire, mediante determinate scelte formali, l’estetica del film; la terza e meno palese, è quella di evidenziare un valore aggiunto alla storia divenendo essa stessa “agente” del racconto filmico.
Quando la fotografia opera in quest’ultimo modo, abbandona i sensi di una luce di situazione interagendo nel racconto filmico stesso, e quando questo accade, la narrazione acquisisce un potenziamento evocativo e simbolico agendo sullo spettatore a livello più o meno inconscio (a seconda della sua sensibilità e della sua coscienza estetica).Vi sono eccellenti studi che analizzano il rapporto tra cinema e inconscio, ma nell’economia di questa relazione si indicheranno quei valori di studio basilari per una formazione alla teoria e alla prassi della fotografia del film. Non si dà fotografia se non si ha sensibilità al valore culturale della luce proprio per individuarne la sua importanza formativa. In tal senso è impossibile dimenticare come essa sia rappresentata nelle fonti culturali più rilevanti del nostro pianeta quali quelle relative all’occidente e all’oriente. Come non ricordare che il primo fiat dell’Essere Divino per creare l’universo è nel dar vita alla luce e come essa divenga il simbolo più alto della conoscenza umana che l’eroe conquista nel mito della Caverna di Platone affrontando tutte le sue prove e scoprire, prima per sé e poi per gli altri, la luce e il suo rapporto con le ombre. Conoscenza e luce, appunto, sono temi che si configurano , in oriente, alla base degli stessi “Veda”, e tale termine, come noto, è la base della stessa etimologia latina di “video”.
Gli esempi potrebbero continuare, ma nei limiti del nostro discorso indicheremo solo in parte, quei valori tematici e simbolici per i quali si attiva la consapevolezza della produzione creativa dell’immagine in movimento.