PERCEZIONI CUBISTE

Era ancora notte, una di quelle notti magiche che annullano ogni identità, ogni fine, ogni causa.
L’ energia s’impadroniva di ogni molecola rimanendo sospesa come un suono lungo, acuto, costante. C’era un’aria di sensualità, pregna d’intenzioni che venivano continuamente eluse, fuggite e cercate, finché le loro mani non furono ancora congiunte di un’unione fraterna, ma sensuale.  Il vino aveva acceso le anime; la musica le aveva condotte sul proprio carro verso cieli superiori; mentre il loro sangue evocava la congiunzione, nonostante le menti cercassero di sfuggire.
Tuttavia non v’è scampo per il fluire dei pensieri, quando il sangue vuole sgorgare impetuoso: quest’ultimo ha sempre la meglio perché per natura deve scorrere sempre, pena la morte.
Il colore dei suoi occhi era quello del mare in tempesta, di quel grigio-blu che risveglia arcani presagi, destando il fascino dell’agitazione, del mistero, del predatore che medita l’attacco; il suo essere esprimeva la forza di quell’uragano che la profondità del suo sguardo sprigionava.
Per la prima volta Zoe si sentiva succube di qualcosa che non conosceva: per la prima volta non era lei a condurre il gioco, ma qualcosa di estraneo ad entrambi.
Poi fu il fuoco.
Il cielo ormai albeggiava e la notte aveva portato con sé l’ebbrezza. Il freddo umido del mattino già s’insinuava subdolo nelle ossa e s’infilava nelle tende illuminandole di uno strano giorno.
Era stata una strana notte. Di fuoco? Di cenere? Era semplicemente giorno. Il sonno danzava pretenzioso sulle palpebre: la luce dell’alba uccide tutto e sveglia fantasmi razionali.

Allora ecco che ora Alexander era magnificamente solo davanti al complesso edificio della sua mente e alla sua anima colma di buchi, porte e finestre, dove tutti erano entrati ed usciti senza lasciare tracce di spirito. L’aveva costruito lui stesso ed egli stesso aveva evitato serramenti per non trattenere nessuno e per far entrare il massimo della luce di giorno; e il massimo delle tenebre di notte. Zoe in tutto ciò era una specie di fuoco fatuo. Ma anche una lontana luce elettrica verso la quale poter tendere la mano, qualora fosse finito vittima delle proprie stesse costruzioni o del crollo di esse, una mano tanto gelida quanto accogliente. Come fare, ora, a conservare questa enorme costruzione? Perché certo andava difesa! Aveva portato Zoe di fronte a questi ruderi e non ne aveva avuto paura; tuttavia, tanta ingenuità lo aveva spaventato, perché i pericoli, lì dentro, erano veramente tanti. Eppure si sarebbero dovute aprire le porte a chi avesse dimostrato di meritarlo. Ogni rudere ha un guardiano e solo chi è capace di tenere intatte le caratteristiche dell’edificio mentale, allora merita tale ruolo.
“Meritare”: che grossa parola. Ci si conquista sempre una parte di anima di qualcuno e poi bisogna essere davvero bravi a custodirla, perché questo è un bene luminescente, unico, fragile.
Era notte, una notte senza luna, ma piena di stelle. Da lontano si sentì d’improvviso un rumore, di due passi, di cemento che si sgretola sotto le scarpe, non era solo.
Zoe era veramente lì, una piccola silouhette controluce, così irreale, come in fondo ella non avrebbe voluto essere.
Ma lo era, contro la sua volontà. Gli si avvicinò lentamente, ma il suo sguardo era rivolto verso la distruzione, e non solo lo sguardo.
Il volto di Alexander era illuminato da una bellissima luce notturna e quella luce violentemente generò nella mente una confusione di ricordi, voci, profili, immagini. Chi era Alexander? Zoe non lo sapeva più.
Non si salutarono.
Si avviarono entrambi verso una strana chiesa illuminata di rosso, ai confini della realtà, una sorta d’inferno creato dall’uomo, come se non ve ne fossero abbastanza.
Tuttavia quella passeggiata notturna fu per i due un viaggio oltre la realtà, come una danza leggera, un duetto di violoncelli perfettamente in armonia: una danza sopra al fuoco, che entrambi avevano attraversato, forse non del tutto indenni. Qualche scottatura segnava la bianca pelle di Zoe; mentre un’ombra perseguitava incessantemente Alexander.
Oltre la chiesa si proseguiva per un sentiero oltre il quale la strada aveva termine: una vera e propria cacciata dal paradiso di Adamo ed Eva.
Non lo sapevano, ma il gelo li attendeva appena dopo.
Sembra che stiamo arrivando ai confini del mondo – disse Zoe
Dici? Eppure siamo ancora qui. Che strani colori surreali…
La luce ora gialla di un lampione disegnava ancora il profilo di Alexander, Zoe avvertì il brivido dell’ignoto: un volto completamente nero, un’anima completamente insondabile.
Il rosso della loro passione era ormai chiuso dalle inferriate della chiesa e agonizzava sull’altare.
Lo Spirito stava forse resuscitando, ma era doloroso, era davvero doloroso.
Tutto quello che era stato in alto ora era in basso; tutto quello che era stato in basso ora era in alto: Alexander era completamente assente e Zoe, ora, era totalmente sola. Avrebbe dovuto essere forte, per sé stessa o per Alexander? O per entrambi?
Fu nella notte di lacrime, al Parco di San Michele, proprio sopra Lugano, che Zoe volse per la prima volta dopo parecchio tempo, il suo sguardo verso una Luna favolosamente bianca e avvertì tutta la miseria e l’impoverimento del proprio essere. Non avrebbe più dovuto accadere e stava ancora una volta accadendo: la sua forza si stava sgretolando, mentre le persone vivevano intorno a lei.
Per captare l’essenza delle cose, era rimasta con l’essenza del vuoto.